Con lo scoppio della guerra in Ucraina dopo l’invasione da parte delle forze russe, le basi su cui impostare un discorso sull’esercito europeo, a partire dalle riflessioni di Alexander Langer e di David Sassoli
Non se ne sentiva alcun bisogno. Anzi. La speranza era quella di non vedere mai più conflitti in Europa. E invece, con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, la parola “guerra” è tornata a fare irruzione. Anni di pace – seppur interrotti da alcuni episodi violenti sul fronte orientale – non hanno portato ad alcuna riflessione profonda a livello istituzionale sul ruolo e la trasformazione degli eserciti, se davvero il mantenimento della pace è lo scopo perseguito dalle Costituzioni dei Paesi dell’UE. Forse è tardi, ma sicuramente non è mai inutile parlarne. Ecco perché oggi ha senso presentare le riflessioni dei due protagonisti di questo Progetto, Alexander Langer e David Sassoli, sull’esercito europeo, uno strumento per la risoluzione dei conflitti senza spargimenti di sangue.
I Corpi civili di pace
Questo approfondimento sulle considerazioni di Langer e Sassoli sull’esercito europeo partono dalla summa del pensiero del politico e attivista altoatesino, come si leggono in un documento postumo pubblicato su Azione Nonviolenta nell’ottobre 1995. A partire dall’esperienza – complessa, a dir poco – del peacekeeping (le azioni di mantenimento della pace) dei caschi blu delle Nazioni Unite, Langer leggeva alcune delle sfide più importanti per le forze armate e per gli addetti alla politica estera “dentro e fuori l’Europa”. In particolare “il ruolo potenziale dei civili nel prevenire o nel gestire i conflitti, che è tuttora grandemente sottostimato”.
Langer guardava con speranza al contributo che può portare il Parlamento Europeo, grazie soprattutto alla relazione sulle priorità dell’Eurocamera per la revisione dei Trattati UE (adottata il 17 maggio 1995). Nel testo a firma David Martin e Jean-Louis Bourlanges, si legge: “Un primo passo per contribuire alla prevenzione dei conflitti potrebbe consistere nella creazione di un Corpo civile europeo della pace (che comprenda gli obiettori di coscienza), assicurando la formazione di controllori, mediatori e specialisti in materia di risoluzione dei conflitti”. Questa era proprio l’idea di Langer, che cercava di delineare “in una maniera chiara e praticabile” un progetto preciso “per far sì che alle parole seguano i fatti”.
Perché
“L’Europa, come il mondo, è afflitta da guerre e conflitti”, di cui “la maggior parte non avvengono tra gli Stati, ma all’interno di Stati o regioni, e sono motivati da differenze etniche, repressione delle minoranze, tendenze nazionaliste, confini contestati”. Nonostante si sia “ormai sedimentato” il concetto di invio di truppe delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace e la prevenzione dello scatenarsi della violenza, “le recenti esperienze non hanno brillato”, scrive il politico di Vipiteno/Sterzing.
Cosa
“Il Corpo civile di pace sarebbe costituito dall’Unione Europea, sotto gli auspici delle Nazioni Unite”. A contribuire al Corpo sarebbero gli Stati membri con il coinvolgimento del Parlamento UE “nelle decisioni sulla costituzione del Corpo e sull’attuazione delle operazioni”. Inizialmente “dovrebbe essere costituito da mille persone, di cui 300/400 professionisti e 600/700 volontari”, ma anche in caso di espansione “i volontari lavoreranno sotto il comando dei professionisti”. Partendo dal presupposto che “senza fondi non si può fare niente“, viene affidato all’UE il compito di definire “linee di budget per stipendi e per costi di funzionamento”.
Chi
I partecipanti ai Corpi civili di pace potrebbero essere “in larga misura” obiettori di coscienza, ma anche militari di peacekeeping in pensione e diplomatici. “Particolare attenzione” deve essere data a rifugiati ed esiliati della regione dove il conflitto dovrebbe essere gestito: “Molte di queste persone sono colte e non-violente, con grande conoscenza della situazione locale”, oltre a giocare “un ruolo fondamentale di supporto linguistico”, sottolinea Langer. In generale, il Corpo “dovrebbe essere composto da individui di diverse nazionalità”, sia uomini sia donne tra i 20 e gli 80 anni. Tra le qualità necessarie, tolleranza, resistenza alla provocazione, educazione alla non-violenza, propensione alla democrazia, conoscenza delle lingue, capacità all’ascolto e di sopravvivenza in situazioni precarie, pazienza.
Dove
I Corpi di pace possono funzionare “solo finché le parti in conflitto chiedono una loro presenza nella propria regione“. In caso di conflitto, in Europa o in qualsiasi parte del mondo, il Consiglio Europeo, il Segretariato Generale dell’ONU e l’OCSE “possono provare a convincere le parti a richiedere l’intervento di questi Corpi”. Fatta richiesta, l’organizzazione internazionale può negoziare le condizioni di base, il tipo di mandato, il periodo, il finanziamento e il comando delle operazioni. In assenza di una struttura UE, la guida in Europa ricadrebbe sull’OCSE, al di fuori sulle Nazioni Unite.
Come
“Prima il Corpo sarà inviato nella regione, prima potrà contribuire alla prevenzione dello scoppio violento dei conflitti”. Langer precisa che “ha solo la forza del dialogo non-violento, della convinzione e della fiducia da costruire o restaurare“. In termini pratici, “agirà portando messaggi da una comunità all’altra, negozierà con le autorità locali, faciliterà il ritorno dei rifugiati, cercherà di evitare con il dialogo la distruzione delle case, il saccheggio e la persecuzione”. A livello di prevenzione in loco, “promuoverà l’educazione e combatterà pregiudizi e odio, incoraggerà il mutuo rispetto e cercherà di restaurare la cultura dell’ascolto reciproco”, sfruttando “al massimo” le capacità di coloro che nella comunità non sono implicati nel conflitto, ovvero anziani, donne e bambini. Non imponendo “mai qualcosa alle parti”, denuncerà i fautori della violenza alle autorità locali e internazionali e “solo su richiesta e temporaneamente” potrà adempiere ai servizi non armati quotidiani di polizia, nelle aree dove quest’ultima “non riscuote successo”.
Criticità
Con una buona dose di realismo (mai pensare che Langer fosse accecato da utopie irrealizzabili), viene riconosciuto il fatto che “un’operazione del Corpo di pace può fallire e nessuno si dovrebbe vergognare ad ammetterlo“. Per esempio, “se una delle parti in guerra è determinata a continuare o accrescere il conflitto, i civili non possono fermarla” e “se il conflitto si trasforma in una vera guerra, i civili farebbero meglio a fuggire dal campo di battaglia”. La fine immediata delle operazioni può arrivare in diversi casi: se “fanatici delle due parti non sono più sotto il controllo dell’autorità locale e cominciano a sparare contro i partecipanti del Corpo di pace o a prenderli in ostaggio”, ma anche se “media locali, influenzati dai demagoghi locali, intraprendono campagne di sfiducia verso il Corpo di pace”. La vera questione è che “troppo spesso ci si è dimenticati che la pace deve essere visibile per essere creduta” e per questo motivo deve essere “promossa da una politica internazionale di premio (e non da punizioni/sanzioni)”. In questo modo, “se è resa vivibile, la pace troverà molti sostenitori in ogni popolazione”.
Un supporto alla politica estera
Rispetto alle riflessioni molto elaborate di Langer, l’ex-presidente del Parlamento UE Sassoli non ha espresso in molte occasioni la propria idea sull’esercito europeo. Quando l’ha fatto, però, è emerso chiaramente il presupposto imprescindibile: “Noi abbiamo detto ‘mai più’ alla guerra“. Questo è stato, per esempio, il punto centrale di una dichiarazione rilasciata il 31 gennaio 2020 a Radio24, in cui lasciava intravedere la possibilità che “nel prossimo futuro ci sia qualcosa che somigli a un esercito europeo”. Se i problemi della sicurezza “impongono sempre di più agli Stati membri dell’UE di parteciparvi in pieno”, non è nemmeno sul tavolo una deviazione dal principio-cardine: “Abbiamo voluto l’Europa come un campo di Paesi che scommettono sulla pace, non sulle attività militari” e per questo motivo “il nostro esercito europeo non sarà mai uno strumento di guerra, ma un supporto alla politica estera“.
La questione dell’esercito paneuropeo a sostegno della politica estera ha trovato spazio anche durante l’intervento di Sassoli al Campo di prigionia di Fossoli (Modena), in occasione del 77esimo anniversario dell’eccidio nazista, l’11 luglio 2021. “Perché i regimi autoritari, tutti, si preoccupano di noi? Non facciamo la guerra, non abbiamo neppure un esercito… anche se sarebbe il momento di averlo, se non altro per risparmiare in inutili spese militari nazionali“. Insomma, l’UE non vuole la guerra e non potrebbe mai interpretare il ruolo di un esercito europeo come uno strumento di offesa, perché “dove c’è conflitto, predilige la diplomazia e il dialogo, e non impone valori”. La questione dei “timori” da parte di regimi illiberali, tuttavia, è un fatto: “C’è solo un motivo per cui succede. I valori europei mettono paura, perché le libertà consentono uguaglianza, giustizia, trasparenza, opportunità, pace. E se è possibile in Europa, è possibile ovunque”.
In visita con Ursula von der Leyen al campo di #Fossoli, nell'anniversario dell'eccidio nazista di Cibeno costato la vita a 67 internati politici.
Ovunque ci sia da tenere alti i valori di libertà, umanità, dei diritti contro le oppressioni, l'#Europa, unita, è in prima linea. pic.twitter.com/AdjMljBb0p— David Sassoli (@DavidSassoli) July 11, 2021
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