Dalla Brianza a Bruxelles, si moltiplicano in tutta Europa serate e festival a tema Balcani. Sulle note delle fisarmoniche e delle trombe, provando a tracciare l’essenza di un genere che genere non è
“Io non capisco perché tutti quanti continuano insistentemente a suonare questa musica di merda”. Con l’ironia brillante e irriverente che è diventata il marchio di fabbrica del gruppo, in Complesso del Primo Maggio Elio e Le Storie Tese lo dicevano già un po’ di tempo fa. La musica balcanica è sulla bocca di tutti. E dopo dieci anni non potrebbe essere più vero. Feste, serate e festival a tema Balcani si sono moltiplicati in tutta Europa, portando sempre più appassionati o semplici curiosi a cantare e ballare sulle note zigane e folk di fisarmoniche e trombe.
Basta fare una brevissima ricerca su Google, senza nemmeno troppo sforzo, per trovare almeno una decina di date nei primi quattro mesi del 2023. Dal Balkan Caravan in Brianza il 5 gennaio al grande Balkan Trafik a Bruxelles tra il 27 e il 30 aprile, passando da Lione, Berlino, Londra e Dublino. Ecco perché ha senso chiedersi: da dove arriva questa ‘fissazione’ per la musica balcanica? Ma soprattutto, cos’è la musica balcanica?
‘Musica balcanica’ vuol dire tutto e niente
Insomma, ‘musica balcanica’ vuol dire davvero tutto e niente. Un po’ come parlare di ‘musica iberica’, ‘musica italiana’, ‘musica europea’. Si potranno sì trovare dei tratti comuni, ma il contenitore è troppo ampio per dare una definizione anche solo approssimativa del contenuto. Allora possiamo ricominciare da qui. Quante ‘musiche balcaniche’ ci sono?
Come spiegato in un ottimo articolo pubblicato da Est/ranei, la musica balcanica è quella che ha conosciuto grande fama in particolare grazie al musicista e compositore bosniaco Goran Bregović e al produttore e DJ tedesco Shantel. Una musica fatta di canzoni popolari mescolata con rock, pop e dance, sonorità zigane e ritmi incessanti e asimmetrici di violini, fisarmoniche, trombe e sassofoni. È il Balkan Beats, un fenomeno che ha raggiunto l’apice della popolarità all’inizio degli anni Duemila.
Eppure questo è solo l’inizio. Se si gratta un po’ la superficie, si capisce in fretta la complessità di un genere (che genere in fondo non può essere davvero) di cui conosciamo fin troppo poco. Tanto per cominciare, una ‘corrente’ della musica balcanica è la sevdalinka (o sevdah), che sarebbe una sorta di saudade. Un’espressione di malinconia e innamoramento, di struggimento amoroso, folkloristico ma reinterpretato anche dalle nuove generazioni.
C’è l’irreprensibile Yugo Rock, un contenitore di produzioni musicali che vanno dagli anni Settanta fino alla disgregazione della Jugoslavia all’inizio degli anni Novanta. Il quadro dei generi a cui ci si riferisce parlando di Yugo Rock è sterminato: dal rock ‘n roll al post-punk, dall’elettro-pop alle sonorità arabeggianti. Ma tutti accomunati dall’appartenenza a un fenomeno di successo pop, che può essere ricordato solo con un po’ di Jugonostalgia. Una quiete spensierata, prima della tempesta delle guerre etniche.
C’è poi il quantomeno controverso filone del turbofolk, che mescola una buona dose di trash con frequentazioni socio-politiche discutibili. Dopo aver attecchito in particolare nella Serbia degli anni Ottanta, nel successivo decennio delle guerre fratricide è diventato il genere di riferimento del regime di Slobodan Milošević. Quasi un rigetto popolare delle sperimentazioni cosmopolite del Yugo Rock, che ha portato al successo cantanti come Svetlana Ražnatović (in arte Ceca), moglie del criminale di guerra e leader delle Tigri di Arkan, Zeljko Raznatović.
Nel nuovo millennio il turbofolk rimane come espressione di un pop esasperatamente trash, fatto di autotune, testi privi di qualsiasi profondità, status symbol e chirurgia plastica.
Ma alla fine, pensando alla musica balcanica, ritorniamo sempre qui. Ai ritmi zigani, alle fisarmoniche, alle percussioni. A quel folk scatenato, un po’ rock e un po’ pop, che fa ballare e cantare a squarciagola. Perché?