Intervista esclusiva a Vedran Mujagić, bassista del gruppo bosniaco durante la tappa a Bruxelles del tour europeo, in occasione del Balkan Trafik Festival. A cura di Chiara Catelli e Walter Fiorini
Questa è un’edizione straordinaria, qualcosa di assolutamente inedito. La farò breve, perché davvero non servono molte parole. Grazie all’energia e al lavoro di Chiara Catelli e Walter Fiorini, amici e collaboratori di questa newsletter, BarBalcani ha potuto intervistare i Dubioza kolektiv.
Celebre gruppo musicale bosniaco dallo stile eclettico, che spazia dal rap rock allo ska punk (ma incasellarli in un genere è assolutamente riduttivo), i Dubioza kolektiv si sono esibiti con la consueta carica esplosiva e autoironia lo scorso 28 aprile al Balkan Trafik Festival a Bruxelles. È qui che, nel backstage prima del concerto, abbiamo deciso di tenere fede a quella promessa che “bisognerebbe ascoltare più Dubioza kolektiv e parlare meno con i governanti”.
di Chiara Catelli e Walter Fiorini
Vent’anni di Dubioza kolektiv
È la terza volta – dopo il 2007 e il 2021 – che i Dubioza kolektiv si esibiscono all’appuntamento dedicato alla musica balcanica a Bruxelles. “Questo Festival sta crescendo, c’è un clima diverso rispetto al 2007 a Bozar, quando siamo stati invitati per la prima volta”, osserva il bassista: “Ci sono più persone e ora è all’aperto, il meteo a Bruxelles è l’unico fattore che può complicare le cose”. Il programma dei Dubioza kolektiv per il 20° anno di attività è molto fitto fino alla fine del 2023. “Avremo un’estate molto intensa con il tour europeo e poi andremo in Messico per la prima volta, sarà incredibile”, annuncia Mujagić con eccitazione. E dà qualche anticipazione sulle prossime novità: “In autunno pubblicheremo alcuni nuovi video musicali, continuando a lavorare e a produrre. Credo che l’anno prossimo usciremo con un nuovo album“.
Voci balcaniche oltre i confini
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Il gruppo non ha solo prodotto ed esportato sulla scena internazionale diversi generi, ma anche musica in lingua bosniaca, con numerose collaborazioni internazionali e brani in inglese, spagnolo e italiano. Per esempio nell’album Happy Machine (2015) hanno pubblicato il brano in italiano 24.000 baci insieme al trombettista e cantante Roy Paci. Hanno anche collaborato in diverse occasioni con Manu Chao, come in Cross the line – un pezzo sulla “libertà di attraversare i confini” – all’interno dell’album #Fakenews (2020).
Utilizzando sonorità balcaniche per dare forma alla propria identità, hanno parlato di questioni che riguardano l’intera regione in molti dei loro brani. Fin dall’inizio della loro attività, canzoni come Open Wide (2004) – chiaramente influenzata dalla guerra appena terminata – facevano appello all’unità e a una “mente aperta” per superare le divisioni etniche, mentre “Mostar è ancora divisa come Berlino”. Questo atteggiamento si è evoluto nel corso degli anni, con l’album Wild Wild West che contiene molti riferimenti ironici alla realtà dei Balcani, dalla fuga dei cervelli alla questione generale della ‘balcanizzazione’.
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Anime attiviste per sempre
Per molti versi la musica dei Dubioza kolektiv è l’Himna generacjie (l’inno generazionale) del loro tempo. Come nella canzone omonima del 2017 – uno dei fiori all’occhiello del gruppo – che parla dell’impatto dell’attualità sulla nascita di un senso di panico diffuso nella loro generazione. Nella scrittura riecheggiano lotte sociali e politiche comuni a tutta la regione balcanica, con il racconto di ingiustizie, abusi politici, fallimento del modello della proprietà privata, confini e frontiere e molto altro.
La musica dei Dubioza kolektiv è sempre stata il veicolo di tematiche portate avanti da movimenti sociali. Mujagić ricorda che “nel corso degli anni siamo riusciti a partecipare a diverse iniziative e proteste guidate dai movimenti della società civile. È qualcosa che faremmo in ogni caso come cittadini, nella nostra vita di tutti i giorni, anche se non ci fosse il gruppo“. E continua spiegando che il gruppo ha fatto da cassa di risonanza per denunce politiche: “In un certo senso usiamo la band come piattaforma per parlare di questioni che riteniamo importanti per la società”. Una costante in questi 20 anni: “I temi e il nostro approccio per affrontarli forse sono un po’ cambiati, ma il nostro impegno non cambierà mai”.
L’artista riconosce che il tempo, nonostante non abbia spento le loro energie, ha certamente influenzato il modo di vedere il mondo. Riflettendo sulla produzione musicale, ci spiega: “Se ascoltate le canzoni di questi 20 anni, potete notare che il nostro approccio ad alcune questioni – politiche e sociali – è evoluto“. Perché “quando cresciamo e invecchiamo, dobbiamo affrontare alcune illusioni che avevamo da giovani e ci si rende conto che non tutto può cambiare nel modo in cui speravamo”, confessa il bassista: “In qualche modo bisogna modificare il modo in cui ci si approccia alla questione”.
Energia rivoluzionaria
In perfetto stile Dubioza, gli striscioni sono utilizzati anche per veicolare messaggi politici. Come un enorme codice QR che reindirizza a una petizione online sull’Eurovision. Il gruppo – da tempo critico nei confronti del festival musicale internazionale – nella petizione chiede provocatoriamente di essere sostenuto per partecipare “come rappresentante di tutti coloro che non sono rappresentati” sotto la bandiera dell’Apsurdistan, una citazione dell’album del 2013.
Oltre alla Bosnia ed Erzegovina quest’anno non partecipano all’Eurovision Song Contest anche Montenegro, Macedonia del Nord, Bulgaria, Slovacchia, Ungheria e Turchia (il Kosovo non è ancora membro dell’Unione Europea di Radiodiffusione). Dal momento in cui la finale è stasera, purtroppo il loro appello non è stato accolto… per ora. E non è la prima volta che i Dubioza criticano apertamente l’Eurovision e l’Europa. Lo dimostra il famoso brano Euro Song, che contiene un messaggio provocatorio: I am sick of being European just on Euro Song (“Sono stufo di essere europeo solo all’Euro Song”).
I am sick of being European just on Euro Song
Il bassista bosniaco osserva che “è passato tanto tempo, ma poco è cambiato”. Ciascuno dei Paesi balcanici ha le sue difficoltà: “Per noi in Bosnia è estremamente complicato anche solo spiegare il sistema politico e i problemi che crea”. Tuttavia, se Mujagić mostra delusione per la politica, non nasconde una visione agli antipodi per quanto riguarda i sentimenti del popolo bosniaco. “Se chiedete ai cittadini, la stragrande maggioranza in Bosnia entrerebbe anche subito nell’Unione Europea“. C’è un’immagine che riassume tutte queste parole. “Se si considera il numero di persone che sono emigrate dalla Bosnia negli ultimi dieci anni, è chiaro che partono per l’Unione Europea per farne parte come cittadini, se non possono farlo nel loro Paese. Questa è la realtà”.