Intervista a Marco Carlone, autore del libro ‘Binario Est’ sull’affascinante e controverso mondo delle ferrovie nei Balcani, tra funzionalità e folklore del trasporto su rotaia
Ci sono momenti in cui la cosa migliore da fare è rallentare e guardare il panorama che attorno. E il mezzo migliore per farlo è il treno. Non un treno ad alta velocità, il cui scopo è solo quello di raggiungere la meta il prima possibile. No, un vecchio treno passeggeri con carrozze a scompartimenti, che procede lentamente lungo una scenografica tratta di montagna, in mezzo ad abitanti del luogo con ceste di verdure, latte e uova. Guardando il paesaggio dal finestrino, si scoprirà l’affascinante mondo delle ferrovie dei Balcani.
A raccontarlo a BarBalcani è Marco Carlone – giornalista, fotografo e video-maker freelance – che questa esperienza l’ha fatta per davvero e ha raccolto i suoi viaggi più suggestivi in un libro di reportage, Binario Est. Dalle coste della Croazia alla Transcarpazia ucraina, passando dalla rete ferroviaria devastata in Albania e dalle paradossali divisioni di quella bosniaca. Per raccontare un modo di spostarsi ormai completamente diverso da quello a cui siamo abituati. Ma senza abbandonarsi a un’artificiosa retorica romanticizzata del viaggio in treno. Festina lente, dicevano gli antichi. Affrettati lentamente.
Reportage per tutti
Affascinato dai treni fin da piccolo, è stato con la fine delle scuole superiori che “mi è tornata questa passione e ho cominciato a scoprire il mondo dei ‘ferrosessuali’, come ci chiamano i macchinisti”. Una passione che l’ha portato prima a viaggiare per l’Italia a fotografare linee ferroviarie e treni più belli e poi, “quando sono finite le linee italiane, ho iniziato a spingermi oltre Trieste“. È lì che nel 2011 Carlone ha scoperto un altro mondo – quello balcanico e dell’Europa ex-sovietica – che “senza saperlo sarebbe diventato buona parte del mio lavoro”. Se all’inizio la spinta era quella dell’inseguire treni “in località specifiche per la loro bellezza”, dopo un po’ è subentrata la volontà di fare un passo successivo e la passione si è unita al lavoro giornalistico: “Fare reportage per tutti, soprattutto per i non appassionati“.
Nel libro Binario Est sono raccolti proprio quei reportage per tutti, “che in qualche modo mi hanno permesso di raccontare piccoli frammenti dei Paesi balcanici attraverso la ferrovia“. Perché il treno è un mezzo di trasporto che in questi Paesi “ha ancora dei regimi di esercizio molto diversi rispetto a quelli dell’Europa centro-occidentale”. Come Carlone rivela, qui esistono ancora alcune figure professionali altrove scomparse. Per esempio? “Il casellante, o l’addetto che cammina per la stazione con un martello per dare botte alle ‘ruote’ dei treni per controllare i ceppi dei freni, o quelli che alzano a mano il passaggio a livello”. Rispetto all’Italia, “in molte zone dei Balcani c’è un numero sproporzionato di ferrovieri in rapporto alla densità e alla lunghezza della linea“. Anche i treni sono “generalmente più antiquati, soprattutto per ragioni economiche, anche se non sempre e non dappertutto”. Ma ciò che più importa è che in molti casi “hanno storie particolari da raccontare”.
La funzionalità, prima del folklore
È qui che si innesta uno dei temi più importanti quando si parla di ferrovie nei Balcani e nell’Est Europa. “C’è tutta una componente di folklore e romanticismo che spesso è legata ai viaggi in treno, ma a me premeva di sottolineare che in realtà questo era il metodo più facile per andare a commerciare”, è quanto mette in chiaro Carlone: “Nonostante i 25 chilometri percorsi in un’ora e venti, era la cosa più utile che esistesse”.
Eppure il viaggio non è sempre facile. “L’Albania è il posto peggiore dove prendere il treno nei Balcani“. La rete è figlia dell’isolazionismo di Enver Hoxha, rimasta così com’è dalla metà degli anni Sessanta “senza infrastruttura, senza manutenzione”. Dal momento in cui i treni costano e produrseli in casa è difficile, “l’Albania li comprava all’inizio dai sovietici e poi se li faceva spedire dalla Cina”, ma per tanti anni la rete è rimasta “isolata e devastata”. Solo negli anni Duemila il genio ferroviario italiano ha sostenuto gli sforzi di ricostruire buona parte della rete: “Sono state anche regalate alcune carrozze a scompartimenti, che viaggiano tutt’ora”. Ma ancora nel 2019 “non c’era abbastanza gasolio per far circolare i treni per buona parte dell’anno”. E così a mezzi pronti per partire per il Montenegro, “finita la formazione, si spegneva la locomotiva e i macchinisti se ne andavano a casa”. Ora su tutta la rete sono rimasti quattro treni a settimana, che non arrivano neanche più a Tirana.
Un’altra situazione “altrettanto penosa” è quella della Bosnia ed Erzegovina, “figlia della cristallizzazione politica nel Paese”. Come tutte le cose in Bosnia, anche la rete ferroviaria è divisa tra le due entità – Republika Srpksa e Federazione – “e le rispettive ferrovie non si parlano”. Gli esempi si sprecano. “Non c’è nessun treno da Sarajevo a Banja Luka, se vuoi fare quel viaggio è praticamente impossibile“. Si parte con i treni della Federazione e si arriva fino a Maglaj. Lì muore la ferrovia. Poi bisogna trovare un modo per arrivare a Doboj, dove c’è un regionale che infine fine porta a Banja Luka. “È una situazione assolutamente assurda”, sintetizza Carlone. Una cosa simile avviene a Tuzla, che un tempo era collegata a Doboj per arrivare poi a Sarajevo. “Ma nel 2019 la Republika Srpska ha tagliato il servizio e ha lasciato in piedi solo un collegamento con quattro villaggi al confine, mentre non è possibile raggiungere Tuzla”. Su una ferrovia che in realtà ci sarebbe.
A questo punto ci si potrebbe chiedere qual è il giudizio complessivo sulle ferrovie dei Balcani. “Se è per la bellezza paesaggistica, ce ne sono alcune tra le più belle d’Europa“, soprattuto tra quelle ex-jugoslave: “La ferrovia del Montenegro, quella tra Sarajevo e Ploče, quella da Rijeka a Zagabria, o da Zagabria a Spalato”. Se invece è per la funzionalità, “molto dipende dai Paesi”. Perché in Romania e Bulgaria sono molto frequentate, costano relativamente poco, hanno una buona densità, “quindi è un servizio utile per la popolazione, perché ha ancora una funzione egualitaria per gli spostamenti“. Dove invece non ci sono i treni, o le corse sono state tagliate, o le infrastrutture sono distrutte, “la popolazione non può contare su un servizio funzionale”. Come in Albania e in Bosnia ed Erzegovina – abbiamo scoperto – ma anche in Macedonia del Nord “dove la rete sta collassando” o in Kosovo “dove non ci sono quasi più treni”.
Ciò che però accomuna tutte queste ferrovie dei Balcani – a prescindere che siano ben funzionanti o meno, capillari o in crisi – è il fatto che “la turistificazione è a uno stato embrionale, sono ancora al servizio della popolazione“, garantisce Carlone. E così rimarrà finché l’uso sarà prettamente locale, con un turismo che le scopra rispettandole: “Almeno fino a quando non aumenterà il costo dei biglietti, perché diventate una trovata turistica”. Fino a quando manterranno la loro anima di “ferrovie proletarie e democratiche, dove è possibile incontrare donne che caricano latte e uova per portarle al mercato”.
Esperienze come quelle raccontate in Binario Est sono da affrontare privi di quella retorica “un po’ noiosa” del ‘tocca le corde dell’anima’, di una “romanticizzazione estrema del viaggio in treno”. Anche se poi “è vero che ti consente di vedere paesaggi incredibili e infilarti in località poco battute dalle rotte principali del turismo, nonostante l’imprevedibilità balcanica ti faccia sudare lacrime e sangue per organizzarlo2, confessa sorridendo Carlone. “Significa che le persone che prendono quei treni sono tendenzialmente incuriosite dal fatto di trovare turisti e spesso si fermano volentieri a chiacchierare”. Il fascino sta proprio tutto nel viaggio, negli incontri e nella ricerca del perché di usanze e abitudini della gente. Non nell’artificioso stupore per un mondo considerato ‘esotico’, che è solo la costruzione paternalistica, discriminatoria e distorta di una realtà diversa dalla quotidianità occidentale.
Il declino delle ferrovie dei Balcani
Ma con il crollo dell’ex-Jugoslavia “è stato tutto un diminuire di treni”. Una tendenza che è continuata anche in tempi più recenti, come insegna l’esperienza di Carlone: “La prima volta che sono andato a fotografare treni in Macedonia del Nord nel 2014, c’erano collegamenti per Pristina, Belgrado e Salonicco. Ora più nulla”. Più anni passano, sempre meno collegamenti internazionali rimangono. “In Bosnia fino al 2016 c’erano treni per Zagabria e per Belgrado, ora hanno tolto anche quelli” e solo dopo la nuova linea costruita con finanziamenti cinesi “in Serbia c’è un treno per Budapest, mentre quello che arrivava fino a Vienna in notturna e passava da Zagabria non c’è più da anni”. Su quello che era territorio dell’ex-Jugoslavia i collegamenti ferroviari transfrontalieri rimasti in modo regolare “sono solo quelli tra Croazia e Slovenia”.
Oltre all’assenza dei grandi collegamenti internazionali, nei Balcani spesso anche le tratte interne possono essere un disastro. Ed “è visibile sulle mappe ferroviarie” l’impatto delle guerre degli anni Novanta: “Le ferrovie erano state costruite quando quello era un unico Paese, mentre oggi ci sono i confini”. Per esempio “c’era una linea magnifica elettrificata, che era parte della connessione Zagabria-Spalato, tra Bihać e Knin”. Durante la guerra “è stata distrutta e poi abbandonata, oggi ci passa la frontiera tra Bosnia e Croazia”. Questo significa che “molte linee non hanno più la capillarità di un tempo“, come dimostra la linea adriatica che da Sarajevo porta a Ploče: “Quando si arriva al confine di Metcović, per gli ultimi 15 chilometri c’è un cambio locomotiva perché si entra in territorio croato”. Insomma, “tutto questo ha peggiorato lo stato delle ferrovie jugoslave”, è il secco commento dell’autore di Binario Est.
In un continente che va verso l’alta velocità e la decarbonizzazione del trasporto su rotaia, il futuro delle ferrovie dei Balcani dipende da Paese a Paese. “Per Kosovo, Macedonia del Nord, Bosnia ed Erzegovina e Albania non vedo improbabile una totale dissoluzione”, perché “hanno pochissime risorse o stanno investendo lentamente”. Come i macedoni che “hanno comprato dalla Cina nuove locomotrici bi-modali” – a elettricità o diesel – “con un’ottima velocità, ma hanno un’infrastruttura del periodo jugoslavo e quindi devono limitarle ai 30 chilometri orari”. E in ogni caso “non hanno scorte per impedire che il servizio si blocchi se viene a mancare anche solo una locomotiva“.
Invece la Serbia “grazie alle sovvenzioni cinesi ha ricostruito una rete quasi da zero”. Insomma, molto dipende dai finanziamenti esteri: “Croazia, Romania e Bulgaria hanno ottenuto fondi dall’Unione Europea per aumentare i propri servizi”. Così anche la questione ambientale del treno come ‘alternativa verde’ all’aereo è entrata nel dibattito pubblico, ma in realtà “più perché non ci sono alternative per velocità ed economicità”. Non c’è però dubbio che possa aiutare sul piano del turismo, per chi si sposta zaino in spalla dando importanza alla sostenibilità dei viaggi: “Spero che anche nei Balcani la tutela dell’ambiente e la decarbonizzazione spingano gli investimenti nella ferrovia“, è quanto si augura per il futuro un appassionato, conoscitore e autore di una preziosa raccolta di reportage sui treni dei Balcani e dell’Europa orientale.