A Bruxelles, nel cuore dell’UE, la Casa della Storia Europea mette in mostra i processi d’integrazione sul continente. Con iniziative che fanno risaltare il ruolo di Stati scomparsi come la Jugoslavia
Balcani. Europa. Jugoslavia. Unione Europea. Balcani Occidentali. Si potrebbero scrivere mille newsletter sui legami, gli intrecci, le incomprensioni, i dissapori e le spinte alla convergenza tra una delle regioni più complesse d’Europa e il resto del continente. Perché già solo nel nome – ‘Balcani’ – c’è tutto un mondo da scoprire, che può rivelare molto sul nostro modo di concepire e descrivere questa penisola. Ma quando si arriva ad analizzare i rapporti tra la regione balcanica e i Paesi dell’Europa occidentale sul piano storico, risulta molto più evidente come si possa influenzare il presente mettendo in risalto o passando sotto silenzio il passato comune.
Non si tratta solo di storiografia per pochi esperti, ma di una questione che riguarda chiunque si ponga la domanda: da dove arrivano i miei pregiudizi? E per farlo con più coscienza, basta entrare in un museo in particolare. A Bruxelles, nel cuore di quell’Unione Europea che sta cercando a fatica di integrare i sei Paesi dei Balcani Occidentali nel suo progetto di pace, stabilità e democrazia. La Casa della Storia Europea.
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Una Casa per gli europei
E tra le domande più rilevanti per la contemporaneità europea ce n’è una che ritorna costantemente dall’inizio alla fine dell’esposizione permanente: qual è il rapporto tra Europa e Unione Europea? “Credo che la confusione tra Europa e Unione Europea sia uno dei concetti errati che la Casa della Storia Europea sfida con abilità e coerenza”, rivendica la curatrice. Anche se nel linguaggio quotidiano le due parole sono usate – erroneamente – come sinonimi, “i due concetti sono chiaramente separati nei testi delle nostre mostre“.
Per essere ancora più precisi, la differenza tra il termine ‘Europa’ e ‘Unione Europea’ riguarda anche il rapporto – di inclusione o allontanamento – nei confronti di chi nel progetto dei Ventisette non c’è (ancora). Come i Paesi oggi definiti ‘Balcani Occidentali’: Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia. “Credo che la Casa della Storia Europea abbia raggiunto un buon equilibrio, in cui l’Europa orientale e i Paesi balcanici sono molto presenti”, anche considerato il background di chi ha dato forma al museo: “La nostra prima responsabile accademica del progetto è stata una curatrice slovena, Taja Vovk van Gaal“, ricorda Bădică. Ma c’è di più: “L’equilibrio che ci proponiamo di mantenere non è solo tra Est e Ovest, di per sé una divisione storica”, ma anche “tra Nord e Sud, equilibrio di genere, storie personali contro narrazioni statali e così via”. È così che anche l’esposizione permanente si può leggere con mille lenti diverse. Compresa una che mette al centro il contributo balcanico alla costruzione dell’Europa.
Tour balcanico
Come nel resto d’Europa anche in Jugoslavia inizia la lotta liberazione partigiana dagli occupanti, ma nella regione (come in Serbia e in Bosnia) si interseca con la lotta contro l’amministrazione ustascia. E il quadro è reso ancora più complesso dalla presenza dei cetnici, nazionalisti serbi fedeli a re Pietro II di Jugoslavia in esilio, che si alleano e combattono contro tutti in base alle necessità contingenti. Ma grazie all’azione dei partigiani guidati da Josip ‘Tito’ Broz (di cui si può osservare in una teca una divisa invernale di guerra), la Jugoslavia è l’unico Paese a liberarsi da solo dall’occupazione nazista e dal regime collaborazionista.
Tuttavia nella fase post-bellica passano sotto silenzio tutti gli orrori etnici del recente passato, mentre la retorica della liberazione si riversa solo contro nazisti e fascisti. In nome di un’unità – mai esistita, ma necessaria – per la costruzione della nuova Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia. Con l’automobile Zastava 750 SP Luxe (prodotta dalla Zavodi Crvena Zastava su licenza della Fiat) si entra nel mondo degli anni Sessanta e Settanta in Jugoslavia, circondati dal boom economico di tutta Europa. Quella esposta al centro di una grande stanza è la rappresentazione fisica della voglia di dimenticare il passato di guerra e migliorare le proprie condizioni di vita. Ma è anche una metafora della Jugoslavia: un qualcosa di non perfetto, che spesso non funziona, ma che si può aggiustare in qualche modo grazie ai rapporti umani. È un’epoca in cui i matrimoni interetnici sono molto comuni e in cui la Zastava 750 permette alle famiglie di spostarsi per andare in vacanza.
Tutto cambia con la caduta della Federazione socialista. Come evidenziato dalle mappe, cambiano i confini dei nuovi Stati indipendenti sotto la spinta dei gruppi etnici. Non si può più essere ‘jugoslavi’, è necessario identificarsi e appartenere a un’etnia specifica, nemica delle altre. Serbi, croati, bosgnacchi, albanesi, macedoni, sloveni, montenegrini. Anche se è sempre stata soffocata una memoria istituzionale sulla Seconda Guerra Mondiale, a livello familiare non sono mai stati dimenticati i massacri del passato. E ora diventano motivo di propaganda e di odio etnico. E tra le guerre che hanno devastato la Jugoslavia negli anni Novanta, il focus non può che essere su Sarajevo e sull’assedio più lungo della storia moderna europea (dal 1992 al 1996). Video delle tappe fondamentali dell’assedio, oggetti come un fucile artigianale e materiale delle Nazioni Unite riutilizzato dalla popolazione civile per i bisogni di tutti i giorni (come una tanica di benzina trasformata in annaffiatoio) danno una dimensione reale delle sofferenze di un popolo europeo in guerra solo 30 anni fa.
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Percorsi paralleli alla Casa della Storia Europea
“Mentre vi accompagniamo attraverso la mostra principale, noterete che non vi raccontiamo la storia di ogni nazione europea. Vogliamo invece esplorare il modo in cui la storia ha plasmato il senso della memoria europea e continua a influenzare le nostre vite oggi e in futuro”.
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In fondo tutto è riassunto nello scopo principale della Casa della Storia Europea. “Non evidenziare le differenze regionali, ma al contrario concentrarsi sui fenomeni transnazionali che hanno interessato l’intero continente, con un impatto o forme diverse nelle varie parti d’Europa”, puntualizza ancora Bădică. “Personalmente ritengo che l’esotizzazione dei Balcani sia un fenomeno storico dal quale spero stiamo per uscire“. È compito del museo “comprendere le diverse storie che hanno plasmato le varie regioni, ma non per far risaltarne una – per esempio quella balcanica – come diversa”.
Anche gli stessi visitatori sono chiamati a un ruolo attivo. “Li incoraggio a cercare storie simili dei Paesi a loro vicini o più lontani, invece di cercare quello che già conoscono”, è l’esortazione della curatrice della Casa della Storia Europea. Perché se a scuola ci hanno insegnato che la storia nazionale è unica e incomparabile, “in realtà spesso è sorprendentemente simile a quella di altri Paesi“. Da qui si può iniziare a costruire una nuova narrazione di un passato e di un presente comuni. Libera da pregiudizi.