La lezione jugoslava sull’adesione dei Balcani Occidentali all’UE

Prima e dopo la dissoluzione della Jugoslavia, Alexander Langer e David Sassoli si sono spesi per la pace, la democrazia e la risoluzione delle divisioni nei Balcani Occidentali. Un processo che trova continuità nella spinta e nelle difficoltà dell’allargamento dell’Unione Europea nella regione

Dopo settimane a trattare alcuni dei temi più cari per Alexander Langer e David Sassoli, questo progetto approda finalmente al suo porto naturale: il rapporto tra l’Europa – intesa come Unione – e i Balcani Occidentali, sia ai tempi delle guerre nell’ex-Jugoslavia, sia nell’attuale processo di avvicinamento della regione all’adesione all’UE. Il confronto su riflessioni che distano 30 anni di distanza permette di comprendere quali lezioni sono state tratte dal passato conflittuale nei Balcani e cosa invece continua a impedire l’integrazione dell’ormai ‘buco nero’ dell’Europa. Ma anche quali elementi rappresentano un fardello per il superamento delle divisioni e delle controversie nazionalistiche, che troverebbero una più semplice soluzione nel quadro più ampio di una condivisione politica, culturale, sociale ed economica a livello continentale.

UE Balcani Occidentali


La lezione jugoslava

Febbraio 1993. Mentre nella penisola balcanica infuriava la guerra e in Bosnia ed Erzegovina erano all’ordine del giorno crimini contro l’umanità e pulizie etniche, sul mensile Kommune Alexander Langer analizzava approfonditamente la situazione dell’ormai ex-Jugoslavia, in uno scritto a suo modo profetico: Lezioni jugoslave. “La spaventosa guerra jugoslava si rivela sempre più come la sfida decisiva per la coscienza europea e il banco di prova della nuova Europa“, perché “la sua portata storica un giorno sarà forse considerata maggiore di quella della guerra civile spagnola negli anni Trenta”. L’analisi più interessante non è tanto su come si è arrivati al deflagrare dei conflitti etnici, quanto piuttosto su quali caratteristiche dovrebbero avere le forze sociali “all’interno e all’esterno” della regione “per contribuire a prevenirli o risolverli”.

“In un conflitto etnico (nazionale, razziale, religioso) non può esservi una soluzione giusta per una parte sola, la ricomposizione del conflitto è possibile solo grazie a iniziative comuni o almeno convergenti di parti diverse”, in cui “i gruppi interetnici si dimostrano sempre più chiaramente come il solo approccio realistico“. Che si tratti di Jugoslavia, “di Israele/Palestina, del Sudafrica … o del Sudtirolo”, l’appartenenza richiede “un certo grado di ‘tradimento’ (non però il passaggio alla parte avversa!) e al tempo stesso di radicamento etnico“, spiegava il politico altoatesino, riprendendo alcune linee del pensiero già viste per i Corpi civili di pace: “Le strade di pace possono essere aperte solo da persone e gruppi che siano ancora riconosciuti in qualche modo dalla parte cui appartengono, ma che siano anche capaci di remare contro la corrente del compattamento nazionalistico“.

Forze di questo genere “non hanno vita facile nell’ex-Jugoslavia”, tanto più se si considera che “l’Europa – chiunque si voglia di volta in volta indicare con questa espressione – le ha praticamente abbandonate a se stesse”, anche se della loro esistenza “si sa e si sapeva”. Le forze interetniche “avrebbero dovuto essere coinvolte per tempo nelle trattative di pace” e “gruppi, partiti, giornali meno inficiati dal nazionalismo avrebbero avuto bisogno di sostegno politico e materiale, per guadagnare peso e prestigio” nelle società di appartenenza. “L’altra” Serbia – “che si è sempre riaffacciata con iniziative e manifestazioni” – “l’altra” Croazia – “che non è stata ridotta al silenzio” – sono state lasciate “completamente sole”.

È così che all’inizio degli anni Novanta l’Europa si trovava davanti alle “rovine non solo della ex-Jugoslavia, ma della propria capacità di agire”. Tutto ciò che ora guardiamo in retrospettiva (“gli orribili crimini di guerra, la discriminazione sistematica, l’intimidazione, le espulsioni, gli stupri, l’imprigionamento, la tortura, l’assassinio di decine e centinaia di migliaia di persone”) nel 1993 avevano già provocato “un incendio che non può più essere cancellato e ferite destinate a ripercuotersi per generazioni“. Langer si chiedeva se in qualche momento del passato “il nodo gordiano della convivenza” si fosse potuto sciogliere, ma in fondo ormai poco importava: “Se oggi esso verrà tagliato con la spada e la dirigenza serba sarà costretta a fermarsi, ciò potrà forse mettere una fine provvisoria alla terribile guerra in corso. Ma la ricostruzione rimarrà molto, molto lontana“.


L’importanza dell’allargamento UE

“Avere un continente pacifico, stabile e prospero gioverebbe immensamente a tutti i cittadini europei”. A quasi 30 anni dagli scritti di Langer – e con tutta l’eredità dei 10 anni di guerra nei Balcani – l’allora presidente del Parlamento Europeo, David Sassoli, tratteggiava così l’importanza dell’inclusione dei Balcani Occidentali nell’Unione. Era la vigilia del vertice UE-Balcani Occidentali a Kranj (Slovenia) del 6 ottobre 2021 e nella lettera inviata al presidente del Consiglio UE, Charles Michel, c’erano tutte le ragioni per accelerare un processo decennale che ormai mostra evidenti segni di stanchezza: “Questo nuovo slancio non può che avere un effetto positivo nella regione e potrebbe contribuire alla sua trasformazione democratica e alle relazioni di buon vicinato“.

I ritardi, i veti, gli attendismi e “ogni ulteriore esitazione” rischiano di “incoraggiare altri attori che desiderano acquisire influenza nella regione”, avvertiva Sassoli, che non mancava di tenere l’attenzione ben fissa sul primo pericolo concreto: “Non mantenere le promesse fatte ai partner significa tradire le speranze dei cittadini“. Se è vero che non si può prescindere dal “rispetto dei criteri di adesione” – che sono poi “la luce sul cammino di ogni Paese sulla via dell’adesione”, è innegabile che un’Europa “veramente geopolitica” può nascere solo “con i nostri amici più vicini, con i quali culturalmente e storicamente condividiamo la stessa identità europea”.

E gli amici sono proprio i Paesi dei Balcani Occidentali, che grazie ai loro Parlamenti – “motori di pace, democrazia, stabilità e prosperità” – possono continuare senza esitazioni il processo di superamento delle divisioni regionali e di integrazione europea. Al vertice con i presidenti dei sei Parlamenti nazionali nel 2021, Sassoli stimolava i colleghi a lavorare insieme verso il “nostro comune futuro”. Grazie al loro ruolo di “spazi inclusivi di dialogo e di scambio di opinioni, i Parlamenti possono favorire la comprensione reciproca e la riconciliazione nei Balcani Occidentali“, in modo da “contribuire direttamente alla pace, alla stabilità, alla prosperità e a una democrazia più forte nella regione”. Ecco perché, considerato che “l’allargamento rappresenta più che mai un investimento geostrategico in un’Europa stabile, forte e unita” – chiudendo il cerchio tracciato dall’eurodeputato Langer – il presidente Sassoli prometteva che “il Parlamento Europeo rimarrà un partner impegnato verso un futuro europeo comune“, per concretizzare la fine di ogni conflitto nei Balcani e per l’adesione UE dell’intera regione: “Una speranza per tutte le parti!”

Addio a David Sassoli, il presidente che aveva a cuore il futuro europeo dei Balcani