Pristina. La capitale più giovane d’Europa, la città che sta ancora cercando una sua identità dalla fine della guerra degli anni Novanta, è diventata per tre mesi e mezzo il centro nevralgico dell’arte contemporanea e della rigenerazione urbana. Dal 22 luglio al 30 ottobre la capitale del Kosovo ha ospitato Manifesta 14, la biennale europea itinerante di arte contemporanea.
Sotto il cappello del concept Importa quali mondi: come raccontare storie altrimenti, Manifesta 14 ha coinvolto artisti, visitatori e cittadini di Pristina in un progetto di ripensamento collettivo e partecipativo degli spazi urbani. La rilevanza della capitale kosovara nel contesto continentale non è di poco conto. La scelta della città ospitante della 14ª edizione è ricaduta su Pristina per “l’importanza geopolitica dei Balcani in relazione alla recente storia europea e al suo futuro“, aveva reso noto il Consiglio di Manifesta.
Ma ancora di più per la possibilità di mettere in campo significativi interventi urbani: “Pristina ha subito grandi trasformazioni nel suo paesaggio, con politiche neoliberiste sfrenate che hanno permesso un’ampia privatizzazione dello spazio pubblico”. Ecco perché “Manifesta mira a sostenere i cittadini del Kosovo nella loro ambizione di recuperare lo spazio pubblico e di riscrivere il futuro della loro città come metropoli aperta nel cuore dei Balcani“.
Di tutto questo – dei successi, dei dietro alle quinte e delle speranze per il futuro di Pristina – ne ha parlato a BarBalcani uno dei due creative mediator di Manifesta 14, l’architetto e urbanista Carlo Ratti.
Quando cala il sipario
Come descriveresti Manifesta 14 in tre parole?
La sfida era quella di collegare arte, architettura e società civile. La risposta del pubblico è stata all’altezza delle aspettative?
“Abbiamo adottato un approccio aperto e partecipativo per progettare gli interventi temporanei per lo spazio pubblico di Pristina. Significa che, invece di stabilire aspettative rigide su come gli utenti dovrebbero reagire, abbiamo intenzionalmente sollecitato le loro opinioni sull’importanza degli interventi per la loro vita quotidiana. Scegliendo come usarli – o non usarli affatto – le persone hanno essenzialmente ‘votato con i loro piedi”.
Per esempio?
“Le cose si sono svolte in modo particolarmente interessante nel Corridoio Verde, lo scalo ferroviario lungo un chilometro che abbiamo recuperato per scopi ricreativi. I comportamenti degli individui sono stati molto diversi e a volte inaspettati. Molti hanno usato il percorso per attraversare le parti storicamente disarticolate della città. Ma alcuni, in modo piuttosto divertente, hanno innaffiato le piante o hanno addirittura portato via alcuni mobili. Tutte queste azioni sono indicatori vitali di come lo spazio pubblico è percepito dalla gente e di cosa si può fare per migliorarlo”.
Quali sono stati i progetti più innovativi tra quelli selezionati e finanziati?
“Il più innovativo è stato anche il più semplice. Il nostro primo intervento urbano è stato realizzato con soli colori e pennelli. In ventiquattr’ore gli studenti dell’Università di Pristina hanno costruito un ‘salotto urbano’ temporaneo di fronte all’ex-biblioteca Hivzi Sylejmani. L’impatto è stato immediato. L’area delimitata con la vernice gialla era piena di auto parcheggiate illegalmente. L’intervento le ha sostituite con mobili da esterno e lo spazio è diventato molto più accogliente.
Alcuni residenti hanno ricordato quanto fosse vivace la zona e come il cortile della biblioteca fosse spesso teatro di partite di basket. Ancora più incoraggiante è il fatto che il progetto abbia prodotto cambiamenti a lungo termine per l’edificio, in modo da stimolare la vita civica”.
Lo spirito sperimentale
In che misura gli aspetti artistici e urbanistici si sono intrecciati?
Quali caratteristiche del Kosovo ha evidenziato Manifesta 14?
“Direi che Manifesta 14 ha messo in luce i cittadini di Pristina, in particolare la loro volontà di adattarsi e migliorare lo spazio in cui vivono. Sono rimasto colpito dai due sindaci con cui abbiamo lavorato. Shpend Ahmeti, in carica fino al dicembre 2021, ha portato avanti il discorso della ‘battaglia per lo spazio pubblico’ e ha concretizzato la direzione che la città prenderà per quanto riguarda il suo ambiente di vita. Il suo successore, Perparim Rama, ha promesso di far evolvere la sfera urbana esistente, trasformando gli interventi temporanei ben accolti in strutture permanenti”.
L’età media a Pristina è 28 anni e 30 in Kosovo. Come ha influito sulla Biennale l’alta concentrazione di giovani?
“La composizione demografica di Pristina ha iniettato una palpabile energia giovane a Manifesta 14. In cambio, è probabile che i giovani raccolgano i frutti delle dinamiche rigenerative dell’evento. La nostra visione urbana partecipativa è un’evoluzione di una tendenza emersa durante la pandemia Covid-19, in cui molte amministrazioni hanno implementato idee innovative in città attraverso un approccio ‘prova e sbaglia’. Ciò che normalmente avrebbe richiesto anni di lavoro è stato realizzato in poche settimane.
Il processo di creazione della città che è scaturito dalla Biennale ha dato alle giovani generazioni di Pristina la possibilità di trasformare la città. Se riusciranno a portare avanti questo spirito sperimentale, in futuro potranno godere di una vita urbana più vivace”.
“Cos’altro sono le città, se non persone?”
A Manifesta 14 hanno partecipato molti artisti locali provenienti dal Kosovo e da altri Paesi dei Balcani Occidentali. Che tipo di contributo hanno portato alla Biennale?
Che tipo di città è Pristina oggi?
“Lo spazio pubblico urbano del Kosovo è rimasto in secondo piano durante il periodo ottomano e jugoslavo. Anche dopo l’indipendenza del Paese l’espansione immobiliare selvaggia ha dato il via al cosiddetto ‘Turbo Urbanismo’, continuando ad allontanare i cittadini dall’ambiente urbano. Credo che la Pristina di oggi sia pronta a vendicarsi delle azioni caotiche del passato e a iniziare a celebrare lo spazio pubblico”.
Cosa lascia Manifesta a Pristina, ora che la Biennale Nomade è pronta a partire per la Catalogna? E cosa può insegnare Pristina ad altre città europee?
“Nel corso dell’ultimo anno e mezzo abbiamo visto nascere nel cuore del Kosovo una nuova metodologia di rigenerazione urbana. Siamo fiduciosi che la città porterà avanti questo slancio e svilupperà spazi pubblici più accessibili nei prossimi anni. Alcuni hanno iniziato a chiamarlo ‘Modello Pristina’, con l’implicazione che una logica simile possa essere adottata da altre città del mondo per migliorare e celebrare il proprio spazio pubblico urbano. La lezione più importante è universale: ascoltare i cittadini e agire di conseguenza. Come scrisse Shakespeare: Cos’altro sono le città, se non le persone?”