Nonostante le ben evidenti differenze, le due regioni hanno molti punti di contatto storici. Dalla spinta per l’indipendenza al nuovo colonialismo, fino ai nazionalismi e alla giustizia di transizione
di Benedetta Arrighini
In un periodo storico in cui il mondo occidentale volge il suo sguardo su due principali regioni, il Medio Oriente e l’Est Europa – e solo recentemente sull’allargamento nei Balcani Occidentali – appare interessante svolgere un confronto inusuale. Balcani e America Latina. Cosa c’entrano?
I Balcani sono una regione piuttosto piccola, parte del ‘Vecchio Continente’, il meno esteso. Dall’altro lato, l’America Latina è la penisola del ‘Nuovo Continente’, e l’estensione di alcuni Stati nazionali della regione supera di molto il territorio dei Balcani. I Balcani si affacciano su un mare, l’America Latina è circondata da due oceani. Le due regioni sono a 9700 chilometri di distanza (più o meno). Inoltre, le lingue che parlano i due popoli appartengono a due ceppi linguistici differenti. La lingua slava deriva dal gruppo delle lingue indoeuropee, nello specifico del sottogruppo slavo meridionale. Il portoghese e lo spagnolo appartengono al gruppo delle lingue gallo-iberiche, derivanti dalle lingue romanze.
Eppure, ci sono delle somiglianze che legano questi Paesi, e cominciano dalla scoperta del Brasile da parte dei portoghesi nel 1500. In quel periodo i Balcani erano terra conquistata dall’Impero Ottomano, e successivamente dall’Impero Asburgico. Quegli anni furono, per le regioni considerate, anni di conquiste sanguinose. Anni in cui con violenza si mischiarono popoli e lingue. Nei Balcani convivono (o convivevano) almeno tre religioni. Quando i portoghesi arrivarono in Brasile, si scontrarono prima con le popolazioni indigene, che decimarono e costrinsero in territori sempre più ridotti. Poi con i coloni francesi, e utilizzarono la tratta degli schiavi per deportare in queste terre sconfinate fino a cinque milioni di schiavi provenienti dall’Africa. Balcani e America Latina sono terre entrambe forgiate dal colonialismo. Questo termine è probabilmente più sentito dai popoli latini rispetto a quelli slavi. Ma anche le terre dei Balcani Occidentali sono state occupate, i popoli di quella penisola hanno subito l’Impero Ottomano prima e l’Impero Asburgico poi. Invero, hanno coltivato sogni di indipendenza.
L'(in)dipendenza e un nuovo colonialismo, tra Balcani e America Latina
Dopo secoli di occupazione nelle due regioni si (ri)sveglia il sogno di indipendenza. Nel corso del XIX secolo tutti gli Stati dell’America Latina ottengono gradualmente l’indipendenza, grazie alle azioni di eroi nazionali sotto i cui motti si organizzano veri e propri eserciti che si scontrano in sanguinose battaglie con le forze armate inglesi, spagnole e portoghesi.
Nel Vecchio Continente le idee e i valori portati avanti dal movimento Romantico alimentano il forte vento del nazionalismo e dei moti rivoluzionari, che si espandono nel corso dei decenni. In questo contesto vi è la nascita di due nuovi Stati nazionali finalmente unificati, l’Impero tedesco e il Regno d’Italia. I Balcani sono una fucina che ribolle e che rischia di esplodere da un momento all’atro: il seme del nazionalismo e dell’indipendentismo si radica sempre di più tra la popolazione. Nel 1914 l’attentato all’Arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo a Sarajevo, ad opera di uno studente serbo, viene rappresentato come la miccia che accende il primo conflitto mondiale, ma i presupposti per una intensificazione delle tensioni sociali erano nell’aria da decenni. Nel 1912 l’Albania aveva dichiarato l’indipendenza dai turchi. Si riesce a intravedere questi punti di connessione? Queste storie di desiderio di libertà, di ribellione, di autodeterminazione dei popoli e di costruzione di uno Stato?
Giungiamo alla seconda metà del secolo breve. Questo è il momento in cui le storie delle due regioni mostrano di avere molti tratti in comune. Nel secondo dopoguerra, nel contesto della Guerra Fredda e della ‘cortina di ferro’ che cala sui due emisferi, entrambe le regioni considerate diventano teatro di terribili dittature. In America Latina, dagli anni Settanta assistiamo ad una serie di golpe militari in Argentina, Brasile, Cile, Perù, Paraguay, Uruguay, in cui prendono il potere dittature militari di stampo conservatore e di estrema destra, con la complicità degli Stati Uniti. Nella regione balcanica la dittatura di Tito in Jugoslavia e la dittatura di Hoxha in Albania sono figlie della politica dell’Unione Sovietica. In questo si riscontra una somiglianza nel fatto che la dittatura jugoslava e albanese erano parte del più esteso progetto dell’Unione Sovietica. Dall’altro lato dell’Atlantico, le dittature che sono fiorite in America Latina hanno ricevuto il supporto degli Stati Uniti.
Violenza, nazionalismo e giustizia di transizione
Come ci sta insegnando – o ri-insegnando – il mondo di oggi, dall’occupazione e dalla colonizzazione rigurgita un sentimento nazionalista, una volontà di rendere la propria terra più importante, il proprio popolo il più forte. Se con Tito la Jugoslavia era un’unione di popoli, con la sua morte le etnie che convivevano nella penisola balcanica iniziano una guerra sanguinosa, alimentata dal nazionalismo. Una guerra che va dal 1991 al 1999 e che costa migliaia di morti e innumerevoli violazioni dei diritti umani. Ed ecco che le due regioni si intrecciano ancora di più. Perché anche in America Latina le dittature cavalcano il sentimento nazionalista e si macchiano anch’esse di terribili violenze, tra cui il fenomeno dei desaparecidos, persone di cui ancora oggi non si conosce la sorte. Nel secondo dopoguerra violenza e nazionalismo sono ciò che caratterizza le due regioni.
Eppure, da questi anni di distruzione, queste due regioni si sono ricostruite (alcuni Stati si stanno ancora ricostruendo). Questo ha implicato delle risposte alle violazioni dei diritti umani. La risposta alle gravi violazioni dei diritti umani viene dagli accademici – e non solo – definita giustizia di transizione. Si intende il processo che uno Stato o una regione ha fatto, sta facendo per reagire ai massacri, ai soprusi che sono accaduti.
Su questo, in America Latina Argentina, Brasile, Cile, Uruguay, Perù e Colombia sono diventati casi studiati, un “laboratorio su tematiche che risultano essere fondamentali con riferimento alle gravi violazioni dei diritti umani”. Se da un lato questi Stati hanno agito attraverso leggi nazionali, dall’altro la Corte Interamericana dei diritti umani ha avuto un ruolo centrale: ha affermato che la condanna penale dei dittatori sarebbe stata l’unica risposta idonea a questi crimini.
Nel continente europeo, a seguito delle guerre jugoslave, le Nazioni Unite hanno istituito il Tribunale Internazionale per l’ex-Jugoslavia, un tribunale ad hoc che è stato centrale per la comprensione e anche la definizione dei crimini internazionali. In seguito, sono state istituite le Kosovo Specialist Chambers, per i crimini in Kosovo. In Jugoslavia vi è stata la necessità di punire i colpevoli, forse più per volontà della comunità internazionale che dei singoli Stati. Qui i terribili fatti di pulizia etnica della fine degli anni Novanta non sono ancora stati rielaborati dalla popolazione e anzi, da alcuni, sembrano ancora rivendicati. Anche in alcuni Paesi latino-americani non sempre si comprende quanto successo, ne può essere l’esempio la vittoria in Argentina di un presidente che nega l’esistenza dei desaparecidos.
I Paesi balcanici e latino-americani si accomunano, infine, per essere delle terre ricche di multiculturalità e di vita. Questo potrebbe sembrare un maldestro tentativo di connettere regioni che non hanno niente a che vedere l’una con l’altra. Eppure, credo che le influenze del ‘Vecchio’ e del ‘Nuovo’ mondo si facciano sempre più vivide e potrebbero essere funzionali a una miglior comprensione di ciò che è accaduto, che accade e chissà, anche che accadrà.
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