Il Kosovo, paradiso delle criptovalute, ne ha vietato l’estrazione a causa della crisi energetica. L’analisi a partire dall’intervento di BarBalcani nel servizio di EstOvest, rubrica del TGR
Minatori digitali, criptovalute, supercomputer e modelli economici alternativi. Ci sono nuovi sviluppi in Kosovo, uno dei più redditizi paradisi europei per i miners. O meglio, in quello che fino alla fine del 2021 poteva essere definito tale.
Questa analisi è introdotta dall’intervento di BarBalcani nel servizio dello scorso 23 gennaio di EstOvest, la finestra di TGR (Rai 3) sui Balcani e l’Europa dell’Est.
Una crisi dalle mille facce
La decisione è arrivata il 4 gennaio: l’estrazione di criptovalute in Kosovo è vietata. Il divieto è stato introdotto dal governo guidato da Albin Kurti in una riunione di gabinetto del 29 dicembre 2021, come tentativo di rispondere alla grave crisi energetica che sta colpendo il Paese. La stessa che da mesi si è abbattuta anche sulla regione balcanica e sull’Europa intera. Le cause? L’alta domanda di gas naturale nelle economie in ripresa, le scarse forniture in arrivo dalla Russia e la situazione geopolitica legata alle tensioni militari nell’Ucraina orientale.
Il Kosovo è uno dei Paesi europei più duramente colpiti da questa crisi: solo nel mese di dicembre aveva importato il 40 per cento dell’energia consumata. Dopo aver dichiarato lo stato di emergenza per 60 giorni, l’esecutivo ha ottenuto maggiori poteri sia per stanziare fondi sulle importazioni di energia elettrica, sia per imporre restrizioni più severe sull’utilizzo. Per esempio, ogni giorno nelle città e nei paesi kosovari vengono imposti blackout pilotati a rotazione. In questo contesto si deve leggere il giro di vite sull’estrazione di criptovalute, una delle attività più energivore e più ai limiti della legalità nel Paese.
“Funzionando ininterrottamente, ognuno di questi super-computer utilizza circa 300 mila chilowatt in un mese, pari al consumo medio di 500 case”, ha spiegato il ministro delle Finanze, Hekuran Murati. In termini economici, “con gli attuali prezzi dell’energia importata, significa tra i 60 e i 120 mila euro al mese“. Per ogni super-computer utilizzato dai miners. “È di questo che stiamo parlando quando diciamo che non permetteremo l’arricchimento illegale di alcuni, a spese dei contribuenti”, ha aggiunto il ministro.
Bisogna ricordare che l’estrazione di criptovalute è un’attività diffusa soprattutto nelle regioni settentrionali del Kosovo a maggioranza serba, dove dal 2008 non vengono pagate le bollette (fino al 2017 erano gli altri contribuenti a coprire il deficit). Soffitte, scantinati, garage e intere case nel Kosovo settentrionale venivano affittate per nascondere i super-computer dei miners, in una sorta di modello economico alternativo a vantaggio di molti. Ma soprattutto degli stessi miners, che a fronte di spese pari a circa 500 euro potevano guadagnare anche 2500 euro al mese. In un Paese dove lo stipendio medio mensile oscilla tra i 400 e i 500 euro.
E così, dal 5 gennaio la polizia del Kosovo ha iniziato a sequestrare attrezzature e a fermare veicoli che trasportano super-computer senza licenza dall’estero. In un solo giorno, nella città di Leposavić sono state sequestrate 272 unità di elaborazione grafica (GPU), schede di processori e fusibili, in una delle più grandi operazioni anti-mining. Nei pressi di Pristina, ne sono state sequestrate altre 206 a Drenas, 6 a Vučitrn e 39 proprio nella capitale del Kosovo.
E ora che succede?
A questo punto bisogna capire quale sarà lo scenario una volta che scadrà lo stato di emergenza a inizio marzo. Aldilà delle misure restrittive sul consumo di energia elettrica, attualmente in Kosovo non esiste una base legale che giustifichi il divieto di estrazione di criptovalute. Nell’ottobre dello scorso anno era stato annunciato un regolamento che l’Assemblea del Kosovo avrebbe dovuto adottare entro la fine del 2021 (ma è ancora in sospeso).
L’assenza di un quadro giuridico sta creando anche parecchia incertezza tra coloro che hanno investito legalmente nell’estrazione di criptovalute. Se importato con licenza, un super-computer non può essere confiscato. Questo però non risolve il problema di uno scenario in cui l’estrazione di criptovalute venga definitivamente vietata nel Paese.
A gennaio diversi miners kosovari hanno iniziato a vendere le proprie attrezzature. Gli annunci si possono trovare anche su Facebook, con prezzi che vanno da 1.500 a 8 mila euro. Pochi altri stanno cercando di trasferirsi all’estero, alla ricerca di altri paradisi per l’estrazione di criptovalute. Fiutando l’opportunità, alcuni imprenditori balcanici si sono offerti di aiutarli a stabilirsi fuori dal Kosovo, spostando i super-computer in Albania o in Macedonia del Nord (nonostante i prezzi più alti per l’energia elettrica). La maggioranza dei miners sta invece rimanendo ferma in attesa dello sblocco dell’attività, sicura che al termine dello stato di emergenza l’estrazione riprenderà regolarmente. Dopo un iniziale momento di panico, la situazione è ritornata alla calma, anche se le difficoltà economiche rimangono.
Tra i minatori digitali ci sono anche quelli che hanno importato le proprie attrezzature in modo legale e che pagavano regolarmente i costi dell’energia elettrica. Non è un caso se, anche tra i miners/imprenditori, in molti chiedono una tassazione equa sull’estrazione di criptovalute, ma non un divieto totale. Dopo sei anni di attività deregolamentata, l’amministrazione fiscale del Kosovo ha tassato quest’attività per un solo mese, prima che il governo imponesse la stretta. Per il momento al ministero dell’Economia va bene così: con la confisca delle diverse centinaia di apparecchiature illegali è stata risparmiata energia elettrica sufficiente per coprire il bisogno di circa 500 famiglie. Da inizio marzo si aprirà un nuovo capitolo.